(Estratto da una comunicazione dell’ASGI)

Il Governo, preso atto che questa “rivoluzione” non avrebbe potuto entrare in vigore il 1° luglio 2021 (come era stato ipotizzato), ha deciso di emanare un decreto legge per coprire la fase transitoria “con un assegno ponte”: in pratica ilDL ha il solo effetto di garantire un trattamento di famiglia (riferito però solo AI FIGLI, il coniuge è escluso dalla nuova disposizione) a coloro che attualmente non percepiscono gli ANF, cioè in pratica i lavoratori autonomi e i disoccupati senza trattamento NASPI (chi è titolare di NASPI percepisce gli ANF). Il punto che emerge subito è che, per quanto riguarda i requisiti di residenza e di cittadinanza, il nuovo assegno presenta requisiti più restrittivi rispetto all’ANF “ordinario” che, come noto, spetta a tutti i lavoratori, a tutti i pensionati e a tutti titolari di NASPI senza alcun requisito restrittivo.

Il nuovo “assegno ponte” presenta infatti i seguenti profili problematici:

  1. L’assegno è riconosciuto ai cittadini italiani, UE ed extra UE titolari del permesso di soggiorno di lungo periodo. La richiesta di un permesso semestrale appare illogica rispetto al regime ordinario degli ANF che, come si è detto,non richiede alcun particolare permesso, tuttavia avrà effetti molto limitati.
  2. La cosa più illogica è tuttavia l’indicazione di un permesso “per motivi di lavoro o ricerca”: in primo luogo perché non indica espressamente che si può trattare anche di un permesso per lavoro autonomo (come è logico, visto che la prestazione è riservata essenzialmente ai lavoratori autonomi); in secondo luogo perché non utilizza la dizione “permesso unico lavoro” utilizzata dalla direttiva 2011/98 e dall’art. 22 TU Seinterpretata letteralmente, la norma condurrebbe ad escludere i titolari di un permesso unico lavoro rilasciato per ricongiungimento familiare o i titolari del permesso per attesa occupazione che invece sono sicuramente titolari di un permesso unico di lavoro ai sensi della direttiva 2011/98 e hanno quindi diritto alla parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni familiari ai sensi dell’art. 12 della direttiva stessa.
  3. La circostanza è ancora più illogica ove si pensi che nel frattempo la Camera ha approvato il testo della Legge Europea (volta a sanare inadempimenti rispetto al diritto dell’Unione) che, proprio al fine di adeguare l’ordinamentointerno alla citata direttiva, ha disposto la modifica dell’art. 41 TU immigrazione, prevedendo che e prestazioni familiari spettino a tutti i titolari di un permesso di soggiorno che autorizzi il lavoro “per un periodo superiore ai 6 mesi”.
  4. Il DL inoltre, ricalcando le disposizioni della Legge delega, prevede il requisito della residenza in Italia da almeno due anni. A parte l’anomalia di richiedere un requisito che non è previsto per l’ANF “ordinario”, trattasi ancora una volta di requisito indirettamente discriminatorio in quanto finisce per incidere in misura proporzionalmente maggiore sugli stranieri rispetto agli italiani.